L'Onore del Nono Reggimento
Il vento sibilava tra i canyon riempiendone le cavità come un ansito, penetrando la solida struttura delle rocce ed erodendo i millenni con l’insistenza effimera degli istanti. Il mare di sabbia era scosso dalle folate e si gonfiava in possenti onde rossastre che smerigliavano la terra riarsa.
Hartew Logan era diventato un tutt’uno con la sabbia che gli ricopriva le rughe e le ciglia, le labbra prosciugate dal vento tenute serrate per evitare di ingoiare boccate di deserto a ogni respiro. Eppure il suo corpo temprato era attraversato da un’intima gioia mentre manovrava la propria vela per solcare le dune. Strinse il vento con pochi gesti calibrati e tenne saldo il timone quando una folata nascose l’orizzonte dietro una cortina di polvere bruna.
In passato Hartew aveva condotto i grandi metavascelli di Ghenalia attraverso il cielo, ma mai si era sentito padrone dell’aria come in quel luogo dimenticato dagli uomini.
Accanto a lui emerse il dorso lucido di un’anguilla del deserto, spesso e pulsante. Doveva essere lunga almeno dieci passi, tuttavia gli scivolò accanto senza sfiorarlo. Hartew gettò un’occhiata istintiva all’arpione, ma quel giorno aveva pescato abbastanza carne da non dover interrompere la propria corsa ancora una volta. Sfrecciò oltre l’animale e abbandonò il mare aperto per tornare a casa.
Non appena si immise nel canyon la vela si afflosciò, divenendo un inutile grumo di tela e ingranaggi; aveva scelto il luogo ideale per costruire la propria dimora: isolato dal villaggio, ma protetto dalla furia dei venti e delle dune. La solitudine non lo spaventava, dopotutto non aveva nulla in comune con gli altri pescatori.
Si scrollò la sabbia dai capelli per far contenta sua moglie e attraccò l’imbarcazione all’ormeggio, sereno, ma quando alzò gli occhi vide stagliarsi la sagoma minacciosa di un metavascello accanto alla casa. Era un modello di modeste dimensioni, di quelli che non richiedevano che due o tre membri dell’equipaggio, ma le cromature rivelavano i tratti inconfondibili dell’esercito. Hartew serrò la mascella: si era nascosto ai margini del mondo per fuggire al passato, ma alla fine non era servito a nulla.
Sollevò il cesto con la carne pescata, già tagliata a pezzi, e la posò sulla soglia di casa. I due macchinisti del metavascello stavano fumando sulla rampa del velivolo e quando lo videro passare gli rivolsero un cenno di saluto indifferente. Non c’era traccia del comandante.
In quel momento suo figlio Harry lo raggiunse dall’orto ed esclamò: «Sei arrivato, papà, finalmente!».
«Cos’è successo?».
«È arrivato un ufficiale che ha chiesto di parlarti. Un tipo strano, avrà qualche anno in più di me… È con mamma adesso».
Hartew sapeva cosa significavano quelle parole e sentì la gola stringersi in una morsa che credeva di aver dimenticato molti anni prima. Non rispose al figlio, ma aprì la porta con un gesto teso. Nel salotto, oltre a sua moglie Magda, lo attendeva un ragazzo sui venticinque anni che indossava la divisa con la naturalezza di una seconda pelle. L’ultima volta che Hartew aveva visto quel volto possedeva ancora le rotondità tardive dell’infanzia, ma per nulla al mondo avrebbe potuto confondere quegli occhi dal colore e dall’intensità del mare imprigionato sotto a una lastra di ghiaccio.
«Aeti...» mormorò, mentre emozioni contrastanti si risvegliavano dentro di lui.
Aveva amato quel ragazzino come un figlio e provò un moto di fierezza vedendo il giovane uomo che era diventato, ma al tempo stesso la sua presenza riaprì ferite dolorose. Il fallimento di un sogno, la morte di Baruth... Gran parte di quelle colpe ricadevano sulle mani di Aeti, ma non potevano chiedere di renderne conto a una persona come lui, così diversa da tutte le altre.
Aeti lo guardava in silenzio, attendendo che fosse lui a iniziare il discorso. Hartew sapeva che era capace di attenderlo per minuti interi, immobile, ma fra di loro c’erano troppi non detti perché riuscisse a trovare le parole giuste. Voleva solo che quegli occhi imperturbabili si volatilizzassero riportando ordine nella sua vita.
Aeti si guardò intorno valutando l’abitazione, poi prese fiato e disse: «Belle eoliche...».
Hartew lanciò un’occhiata assente alle eoliche dell’orto, sorpreso dal fatto che il giovane avesse preso la parola per primo. Magda, visibilmente a disagio, approfittò del suo silenzio per posare sul tavolo due tazze di tè, poi si defilò con discrezione.
«Tua moglie?».
Hartew annuì, esterrefatto dalla piega che stava prendendo la conversazione. Doveva essergli costata molta fatica trovare quei due argomenti così quotidiani e sentiva che, a modo suo, era un tentativo di ricucire i rapporti. Tuttavia Hartew non aveva dimenticato il modo in cui si erano lasciati e domandò sospettoso: «Che cosa vuoi?».
«Non sembri felice di rivedermi» constatò il giovane senza ironia, stupito.
Hartew avrebbe voluto spiegargli il perché, parlargli delle loro speranze deluse, del bene che gli voleva e, al tempo stesso, del timore che la sua presenza incuteva a chi gli stava vicino, ma Aeti non avrebbe capito. Non con il suo mondo fatto di genio e di assoluti.
Il giovane avvicinò la propria sedia di un passo, in uno dei gesti più intimi che avesse mai compiuto in presenza di Hartew; per quanto si sforzasse di ricordare, non lo aveva mai visto sfiorare un altro essere umano, neppure per soccorrere Baruth.
Aeti lo guardò negli occhi con una morbidezza insolita e annunciò: «Hanno ricostituito il Nono Reggimento».
Il cuore di Hartew ebbe un sussulto e con il pensiero abbandonò in fretta le sabbie solitarie per tornare in alto nei cieli, fra le nubi che riflettevano lo scintillio del mare e le vaste praterie che danzavano sotto al ciclico ritmo dei rotori. Quella era la sua vita.
«Mi hanno affidato il comando» continuò a spiegare Aeti «ma ho bisogno di avere al mio fianco le persone che hanno costruito il Nono con le loro mani, che per primi hanno creduto nel suo scopo».
Gli occhi di Hartew brillavano di vita. Sapeva che fuori dalla porta lo aspettavano una moglie e un figlio, reclamando a pieno diritto una presenza che aveva negato loro troppo a lungo, ma in fondo al cuore non aveva mai smesso di implorare che qualcuno tornasse dalle ombre del suo passato incompiuto per porgli quella domanda.
«Hartew, vuoi venire con me?».