Le Lucciole
La terra sotto i suoi stivali era piacevolmente immobile. Come l’aria tutto attorno. Il mattino stiracchiava le sue prime luci senza fretta. Perfino il gallo non si era ancora degnato di annunciare il nuovo giorno. Samuel respirò avidamente quell’ossigeno frizzante e si avviò deciso verso il pollaio.
Pochi minuti più tardi due uova sfrigolavano in una larga padella imburrata. La colazione, come sempre, era abbondante e condivisa con un paio di gatti perennemente affamati che non si facevano scrupolo di invadere, con un balzo, il tavolo apparecchiato a puntino.
La finestra della cucina si apriva su una breve pianura bruscamente interrotta dall’anfiteatro delle montagne che svettavano ripide e austere verso un cielo rosato. Sullo sfondo l’imponente sagoma del vulcano Zone, da decenni placido e inoffensivo. Samuel si godeva quella visione sorseggiando pigramente una tazza di the. A riportarlo alla realtà fu una breve ma intensa scossa accompagnata da un cupo boato. I due felini si lanciarono fuori dalla porta con un miagolio acuto e scomparvero nella campagna. Lui rimase seduto. Sapeva riconoscere i terremoti senza dover ricorrere ai sismografi del laboratorio. E quella scossa, anche se notevole, rientrava nella normalità delle cose. Poco più di un sospiro del suolo. Lasciò trascorrere qualche minuto poi si alzò e uscì nel cortile. Seguendo un protocollo che ormai era diventato abitudine controllò il bacino idrico, un grande cilindro di metallo smaltato interrato per metà della sua altezza e capace contenere quasi 50 metri cubi d’acqua. Vi si specchiò e si accorse, non senza un certo stupore, di essere invecchiato. Non ci aveva mai fatto caso prima di allora. I suoi capelli si erano diradati e ingrigiti. Gli occhi apparivano infossati, le guance smagrite, il naso appuntito. Strinse per un istante le palpebre e le riaprì per avere conferma di quell’immagine, ma una foglia di castagno si era posata sulla superficie, increspandola. «Meglio così – borbottò –. Farò finta di non aver visto». E sorrise a quelle parole, trovandole quasi spiritose. Quindi riprese il giro di ispezione: pannelli solari, accumulatori, laboratorio, hangar. Tutto in ordine. Del resto ne era sicuro. Una scossetta del genere non poteva incrinare la base che ormai, per lui, era diventata casa. Proseguì con le occupazioni mattutine nel pollaio e nell’orto. Quest’ultimo già si pavoneggiava con grandi zucche arancioni e cavoli monumentali. Nelle serre crescevano rigogliose verdi chiome di insalata e gli ultimi pomodori di stagione arrossivano timidamente. Il resto della giornata se ne andò via senza incidenti né imprevisti. Fu dopo il tramonto del sole che un sibilo lungo e acuto segnalò a Samuel l’arrivo di un mestex. Nonostante la sua indole solitaria, amava tenersi in contatto con alcuni – pochissimi e selezionatissimi – amici, e con sua sorella Anna. Il messaggio arrivava proprio da quest’ultima.
«Carissimo Sam,
non so dirti quanto mi manchi e quanto vorrei che tu fossi qui. So che non hai piacere di affrontare questo argomento, ma non riesco a tenermelo dentro. E tu lo sai. La distanza che ci separa sembra ingigantirsi ogni giorno di più. Se penso ai pericoli che stai correndo e alla precarietà della tua situazione sto male, se per qualche istante mi distraggo, non appena torno a pensarci sto ancora peggio. Sia chiaro: rispetto la tua scelta e so che l’hai fatta per amore. Tuttavia non tutti gli amori hanno lo stesso peso. Sai che cosa intendo dire. Non voglio recitare la parte della sorella maggiore, tuttavia sento che i giorni si fanno radi per me e vorrei rivederti e abbracciarti ancora una volta prima di scomparire. È ancora possibile prenotare un imbarco. Coprirei io il costo del viaggio… Ti chiedo almeno di pensarci.
Per quanto riguarda me non ci sono novità: sto bene, ma mi sento sola. Non che mi manchi la compagnia, mi manca piuttosto una presenza. Non so neppure come spiegartelo. È difficile trovare le parole…»
Samuel lesse fino alla fine la lunga lettera. Abbozzò un inizio di risposta, ma si trovò ben presto a corto di argomentazioni. Quindi cancellò tutto, rimandando quella non facile incombenza al giorno successivo, e uscì per respirare il fresco della sera. Lo stupì non poco l’inaspettato lampeggiare delle lucciole. Era inconsueto vederle in autunno. Ne contò almeno una dozzina. Si inseguivano in spirali discontinue, punteggiando il buio con una luce calda e benevola. Gli trasmisero, però, un certo qual senso di smarrimento. Come se qualcosa di grave dovesse accadere di lì a poco.